Imarisha!: tutelare le foreste e le comunità locali in Kenya

Nel riquadro rosso l’area della foresta Mau, in Kenya (Fonte: Google Earth, 2020)

Il progetto Imarisha!, svolto dall’Università degli Studi di Milano insieme a Mani Tese e altri partner locali e internazionali, ha consentito di avviare la protezione della foresta Mau in Kenya lavorando direttamente con le comunità residenti nel territorio.

Sotto la guida scientifica di Valerio Bini, docente del Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali presso l’Università degli Studi di Milano, il progetto rappresenta una buona pratica per accordare la tutela della biodiversità con gli obiettivi di neutralità climatica e di giustizia sociale.

Le foreste sono fondamentali per la tutela della biodiversità, contribuiscono a depurare e regolare i flussi d’acqua, sono fonte di legname e ossigeno, stabilizzano e arricchiscono il suolo.

Questa ricchezza è oggi minacciata: disboscamento per far spazio a pascoli e campi agricoli, danni legati agli effetti della crisi climatica come incendi, siccità e alluvioni, eccessivo prelievo di legname sono solo alcuni dei fattori che la mettono sempre più a rischio.

Sono diversi gli interventi proposti e messi in atto per far fronte a queste minacce e ripristinare e proteggere il benessere forestale. Interventi che devono saper tenere in considerazione non solo il benessere dell’ecosistema della foresta, ma anche quello delle comunità che vi vivono in stretto contatto, abitando in prossimità o anche all’interno delle foreste.

Il progetto Imarisha! Energie rurali per la lotta al cambiamento climatico e la salvaguardia ambientale, finanziato dall’Agenzia Italiana di Cooperazione allo Sviluppo (AICS) e portato avanti tra il 2017 e il 2020 dall’Università degli Studi di Milano in collaborazione con l’ONG Mani Tese e partner locali, come Network for Ecofarming (Necofa), ma anche italiani e internazionali, si configura come un esempio insieme interessante e importante di strategia su una particolare area, quella della foresta Mau in Kenya, in particolare nelle aree di Koibatek, Kiptunga e Ndoinet, dove la protezione dell’ecosistema forestale è stata portata avanti lavorando direttamente con le comunità residenti nel territorio.

Area di foresta indigena (fotografia di Valerio Bini, 2019)

Quella di Mau non è solo una delle foreste più vaste del Kenya, con la sua estensione di circa 400.000 ettari, ma anche una delle più rilevanti sotto il profilo ecologico. In particolare, la foresta di Mau è stata individuata dal governo keniano e dalle Nazioni Unite come una delle cinque aree strategiche per l’approvvigionamento idrico del Paese: al suo interno, infatti, si trovano le sorgenti di 12 fiumi che alimentano le regioni occidentali a valle.
Ogni eccessivo sfruttamento di quest’area rappresenta dunque un rischio, perché possono verificarsi importanti effetti negativi sulla quantità e qualità di acqua disponibile.
Eppure, dagli anni ’70 a oggi, si è assistito a una riduzione di almeno il 10% della superficie forestale.

La ragione ufficiale del disboscamento è stata la volontà d’insediare nei nuovi terreni agricoli la popolazione residente nella foresta – gli Ogiek, una popolazione di cacciatori-raccoglitori noti anche per la loro produzione di miele – ma in realtà collocando in questi terreni popolazioni provenienti da contee vicine tra il 1994 e il 2001.

Si parla di almeno 20.000 famiglie, ciascuna con le sue necessità di alimentazione, combustibile, terreno: il risultato dell’operazione governativa è stato dunque una forte tensione per l’attribuzione delle terre.

Allo sfruttamento, diretto e indiretto, della foresta da parte della popolazione, si sommano oggi anche i rischi posti dalla crisi climatica, in particolare siccità e alluvioni.

In swahili, imarisha significa “rafforzare”. E il rafforzamento portato avanti dal progetto si è concentrato sul problema dell’approvvigionamento energetico.

Partendo da una mappatura della copertura forestale per definire la deforestazione degli ultimi decenni, ricercatori e ricercatrici dell’Università degli Studi di Milano hanno condotto una serie d’interviste con le famiglie locali e con esponenti istituzionali per meglio comprendere come e quanto venissero usate le risorse forestali, e a quali scopi.

I risultati di questa valutazione qualitativa hanno permesso di verificare che la legna della foresta Mau è ancora una fonte importante per l’approvvigionamento energetico delle comunità residenti: anzi, dalle interviste è emerso anche che quasi la metà delle persone si riforniva all’interno dell’area protetta. Peraltro, l’impatto della raccolta del legname ha risvolti negativi anche dal punto di vista sociale, perché l’impegno ricade sulle donne, principali responsabili del trasporto: dai dati emersi dalle interviste, la raccolta per la cucina tradizionale richiede infatti quattro spostamenti nella foresta ogni settimana, il che comporta camminare per diversi chilometri trasportando carichi di circa 15 chili.

Produzione di carbone illegale nella sezione di Kiptunga (foto di Guido Trivellini, 2019)

Per tutelare la foresta, si potrebbe pensare a un approccio esclusivo: divieti, barriere e controlli che impediscano alla comunità di sfruttare l’ecosistema. Oppure, si può scegliere di lavorare supportando e coinvolgendo gli abitanti.

Il progetto Imarisha! ha scelto la seconda strada, promuovendo di pari passo la difesa dell’ambiente e quella dei diritti delle persone, che in questo caso coinvolgono anche le popolazioni indigene.

Il progetto ha contribuito quindi da una parte a fornire alle comunità strumenti che permettessero la riduzione dello sfruttamento della foresta Mau, dall’altra ha voluto anche agire attraverso il public engagement, coinvolgendo le popolazioni interessate nella gestione della foresta stessa.

Infatti, il progetto ha permesso di fornire 12.000 stufe migliorate, che contribuiscono alla riduzione di circa il 50% del consumo di legna perché limitano la dispersione del calore; ha permesso la messa a dimora di specie vegetali esotiche a crescita rapida nelle aree esterne all’area protetta, come pini e cipressi, per creare vivai privati ai margini dei campi che impediscono lo sconfinamento.

La piantagione che segna il limite della foresta di Ndoinet, impedendo sconfinamenti (foto di Stefania Albertazzi, 2019)

Inoltre il progetto ha previsto l’installazione di pannelli fotovoltaici negli edifici pubblici (scuole, dispensari, un negozio di lampade e impianti fotovoltaici, una radio comunitaria): scelta importante anche dal punto di vista della salute, per sostituire le lampade a petrolio in uso da parte della popolazione locale, pericolose negli ambienti chiusi.

Un rapporto del WWF Italia realizzato nell’ambito di Imarisha! ha sottolineato l’importanza di favorire l’accesso all’energia elettrica e metodi di cottura sostenibili da molti punti di vista: possibilità di prolungare le attività della giornata (con più tempo per studio e lavoro), di migliorare la parità di genere sottraendo donne e bambine al compito di raccogliere la legna, di estendere i servizi sanitari, di dotare le strutture di illuminazione notturna.

Imarisha! non si è limitato alla fornitura di beni ma si è dedicato anche in modo diretto al public engagement della popolazione locale.

Nel 2005 il governo keniano ha emanato il Forest Act (poi aggiornato più volte nel corso degli anni successivi), che prevede la realizzazione di un piano partecipato per la gestione delle foreste. Più precisamente, il Forest Act richiede che le comunità si organizzino in associazioni (Community Forest Associations) che, in collaborazione con il Kenya Forest Service, definiscano la gestione forestale, per esempio stabilendo le modalità di conservazione della foresta, il prezzo per la raccolta della legna, oppure per il pascolo.

Tuttavia, non è stato stabilito alcun finanziamento per la realizzazione dei piani partecipati, che pure richiedono risorse, come quelle necessarie per la consulenza di esperti.

Proprio allo scopo di favorire il riconoscimento delle comunità residenti, Imarisha! ha finanziato la realizzazione del piano di gestione partecipativa nell’area di Ndoinet (una delle tre interessate dal progetto), dopo un lavoro di mappatura delle zone interessate, l’identificazione delle priorità per il territorio sulla base delle sue caratteristiche fisiche e geografiche e l’analisi dei portatori di interesse coinvolti.

Un percorso simile ha portato anche alla realizzazione del piano di gestione del bacino idrico, anch’essa un’attività richiesta dal governo nazionale.

Vegetazione indigena nella foresta di Ndoinet (foto di Valerio Bini, 2017)

«La comunità di Ndoinet, grazie al costante apprendimento e alle attività di formazione alle quali ha partecipato durante tutto il corso del progetto, ora conosce ed è consapevole delle migliori pratiche ambientali. Essa sostiene il lavoro di conservazione e partecipa alle attività di riforestazione. Recentemente è stato sviluppato un piano di pascolo e si stanno avviando attività di allevamento che, controllando il pascolo nella foresta, ne consentano la rigenerazione e garantiscono il successo dei vari sforzi di riabilitazione della stessa».

Dalla testimonianza di Duke Morema, operatore del partner di progetto Necofa

Se vuoi saperne di più sul progetto Imarisha! puoi leggere il capitolo “Tutelare le foreste e le comunità in Kenya”, nel volume Sostenibilità, diritti, innovazione sociale, a cura di Luca Carra, Natalia Milazzo, Sergio Cima, Massimo Bianchi e Marco Mori, Milano University Press, 2022. Disponibile gratuitamente sul sito di University Press